(Con alcune battute finali dedicate all’Italia, partendo dagli omicidi di don Roberto e di Willy).
di Paolo Moiola
L’arrestato prega l’agente: «Non mettermi le manette». Anche se la persona non fa resistenza, il poliziotto non sente ragioni. Si avviano verso la macchina di servizio fuori dell’edificio. «Non voglio salire sull’auto della polizia», dice il fermato che poi, implorando, aggiunge: «Datemi una seconda opportunità».
La scena qui sommariamente descritta è avvenuta a Orlando, in Florida, nel settembre 2019. Nulla di eccezionale se non per un particolare: la persona arrestata aveva sei (6) anni d’età. La bambina – di carnagione nera – era accusata di aver preso a calci un’insegnante. Il video dell’arresto – in Usa, quasi ogni poliziotto indossa una videocamera (body-worn camera) – è stato reso pubblico nel febbraio di quest’anno.
Secondo le statistiche sulla criminalità del Federal Bureau of Investigation (Fbi), negli Stati Uniti tra il 2013 e il 2018 almeno 30.467 bambini di età inferiore ai 10 anni sono stati arrestati. E i numeri salgono alle stelle per i minori di età compresa tra 10 e 12 anni con 266.321 arrestati nello stesso arco di tempo (Abc News, 30 settembre 2019, con dati dal sito ufficiale www.fbi.gov).
Il colore della pelle importa
Sono numeri che impressionano, ma da una loro analisi si scopre anche dell’altro. Quando un bambino viene fermato dalla polizia statunitense per un’infrazione minore (ad esempio, un piccolo vandalismo), il colore della pelle dell’arrestato fa la differenza.
«Le statistiche nazionali – racconta il Centro per i diritti dei bambini della Louisiana – mostrano che, se il bambino è afroamericano, probabilmente vedrà l’interno di un’auto della polizia, una cella di prigione e un’aula di tribunale. Se il bambino è bianco, probabilmente verrà mandato a casa con una reprimenda. In effetti, a livello nazionale, i giovani neri hanno il doppio delle probabilità di essere arrestati per lo stesso crimine rispetto alle loro controparti bianche» (Louisiana Center for Children’s Rights, «When 99% of Children Arrested Are Black: A Case for Police Diversion», luglio 2015). Dunque, il colore della pelle importa e, visto che non si può cambiare, risulta discriminante a qualsiasi età. In un rapporto della Commissione interamericana per i diritti umani si legge: «Gli afroamericani sono costantemente presi di mira sulla base della razza per perquisizioni e arresti (profilazione razziale) e sono spesso vittime di un uso eccessivo della forza da parte della polizia, che in molti casi provoca la morte. Significative disparità razziali nel trattamento degli afroamericani da parte del sistema penale si traducono in un accesso ineguale alla giustizia e nella loro sovrarappresentazione nel sistema carcerario» (Iachr, «African Americans, Police Use of Force, and Human Rights in the United States», novembre 2018).
Il sindacato è con Trump
Con tutte le armi che girano liberamente per il paese (ne abbiamo parlato anche su queste pagine) e i discorsi incendiari di Trump, la violenza e il razzismo diventano banalità quotidiana. Lo scorso 13 settembre, nei pressi di Los Angeles, uno sconosciuto ha sparato a due agenti che erano seduti nella loro auto di servizio.
«Animali che devono essere colpiti duramente!», ha tweettato il presidente «legge ed ordine», dopo aver visto le immagini.
Parole al miele per le forze dell’ordine, che non hanno mai nascosto la propria vicinanza a Trump, anche in maniera sfacciata per un’istituzione che dovrebbe essere super partes. Così, lo scorso 4 settembre, il Fraternal Order of Police (Fop), il principale sindacato di polizia del paese, forte di 355 mila membri, ha manifestato pubblicamente il proprio appoggio (endorsement) in favore della sua rielezione. «La Fop – si legge nel comunicato – è orgogliosa di sostenere un candidato che chiede legge e ordine per tutta la nostra nazione. Egli ha il pieno ed entusiasta sostegno della Fop».
Brutalità e razzismo della polizia Usa
Secondo i dati dell’Fbi, nel 2019 sono stati 48 i poliziotti uccisi in servizio. Un tributo di vite che però non giustifica la brutalità (termine usato da Statista, importante istituto americano di rilevazioni) e il razzismo delle forze dell’ordine statunitensi. I numeri lo testimoniano al di là di ogni obiezione.
Stando alle rilevazioni del Washington Post, nel 2019 la polizia ha ucciso 999 persone di cui ben 250 neri – 14 dei quali disarmati -, anche se essi costituiscono soltanto il 14 per cento della popolazione complessiva. Gli ispanici – un’altra minoranza (sono il 18 per cento degli statunitensi) – hanno avuto 163 morti (11 disarmati) per mano della polizia. A conti fatti, i neri contano 32 ammazzati per milione, gli ispanici 24 per milione e i bianchi 13 per milione («Fatal Force», Police shootings database 2015-2020). Questi dati – in linea con quelli di altre organizzazioni indipendenti (come Mapping Police Violence e Statista) – dimostrano che l’uso della forza da parte della polizia americana non soltanto è eccessivo, ma evidenzia anche un chiaro connotato razzista. Il tutto senza conseguenze: il 99 per cento degli omicidi compiuti da poliziotti nel periodo 2013-2019 non ha portato ad alcuna incriminazione degli agenti responsabili.
Il 2020 – anno delle uccisioni di George Floyd (nero di 46 anni), Daniel Prude (nero di 41 anni), Deon Kay (nero di 18 anni), Dijon Kizzee (nero di 29 anni), Breonna Taylor (nera di 26 anni, con un solo agente su tre incriminato e per semplice «negligenza»), tanto per citare i casi più noti – sta confermando appieno sia il fenomeno che i numeri degli anni precedenti (781 morti al 6 settembre). Con due elementi in più ad esasperare la situazione: le elezioni presidenziali del 3 novembre e le manifestazioni del movimento di protesta «Black Lives Matter» (le vite dei neri importano).
Negli Stati Uniti, la schiavitù è ufficialmente terminata nel 1865 con il XIII emendamento della Costituzione americana; la segregazione razziale, sempre ufficialmente, nel 1964 con il Civil Rights Act. Il razzismo – lo stiamo vedendo – rimane però ben radicato nella società statunitense.
E in Italia
Come lo è in molti altri paesi, compresa – ancora di più dal 15 settembre, giorno dell’uccisione di don Roberto Malgesini – l’Italia del «Io non sono razzista, ma…». Anche per modificare simili atteggiamenti, dal 2003 esiste un «Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali» (Unar). Poco conosciuto ma indispensabile, visto che nel nostro paese ci si compiace o si è indifferenti davanti alle affermazioni di un ex leghista a commento dell’assassinio (avvenuto lo scorso 6 settembre) di Willy Monteiro Duarte, ragazzo ventunenne figlio di capoverdiani: «In Italia non esistono persone nere. Sei italiano se sei bianco».
Paolo Moiola
Pubblicazione / data:
«l’Adige» (23 settembre 2020) e l’«Alto Adige» (21 settembre 2020).
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