di Paolo Moiola
«Il giorno del golpe il signor Leopoldo López (*), che si suppone essere il leader della opposizione, si è esiliato nell’ambasciata spagnola con tutta la sua famiglia. Quando a Guaidò, personalmente non so dove sia». Così padre Pablo Uruquiaga Fernández, raggiunto telefonicamente nella sua parrocchia di Caracas.
Nato nel 1945 a Pinar del Río, Cuba, dopo alcuni anni trascorsi a Miami, nel 1968 Pablo Uruquiaga arrivò in Venezuela. Completò i suoi studi presso l’Università cattolica Andrés Bello di Caracas. Nel 1975 fu ordinato sacerdote. Dopo 4 anni a Petare, nel 1980 è diventato parroco della chiesa «La Resurrección del Señor», a Caricuao, un quartiere di Caracas abitato da classi medio-basse.
Padre Pablo, in questi giorni il mondo è stato sommerso dalle fake news sul Venezuela, ma anche in questo caso la colpa è ricaduta sul governo Maduro che reprimerebbe la libertà di espressione…
«In Venezuela c’è sempre stata libertà d’espressione. Anzi, io direi – non se riuscirà a tradurlo in italiano – “libertinaggio d’espressione”. La mia opinione è che si dovrebbero applicare le leggi (che si sono) affinché non si usino i media per incitare alla violenza e alla guerra. Affinché nei media non ci sia corruzione. La libertà d’espressione deve essere preservata, ma deve anche esistere un limite: il rispetto degli altri».
Donald Trump, il principale azionista di Guaidó e dell’opposizione in generale, ha minacciato ripetutamente Cuba per l’appoggio dato al Venezuela. Cosa fanno i cubani presenti nel paese?
«La loro, in primis, è una presenza per aiuto e solidarietà. Soprattutto nell’ambito delle cosiddette “missioni sociali” che sono la forza principale del processo rivoluzionario bolivariano. In secondo luogo, non va negato l’assessoramento militare e strategico che il governo cubano offre a quello bolivariano, nel rispetto però dei rispettivi ruoli che rimangono distinti uno dall’altro».
Altro elemento su cui si discute molto è il sostegno della Russia. Secondo lei, Mosca è mossa da qualche piano egemonico segreto o – più concretamente e banalmente – è interessata alle ricchezze minerali del Venezuela?
«La Russia è un’altra potenza politica e commerciale. Finora ci ha aiutati senza evidenziare una volontà egemonica, ma soltanto per interessi commerciali e strategici. Sia la Russia che la Cina dovranno dimostrare la lora amicizia rispettando la nostra indipendenza. Noi non vogliamo dipendere da alcun impero: né russo, né cinese, né statunitense. Vogliamo avere relazioni buone e rispettose con tutti quei governi e con i loro popoli. L’importante è che essi rispettino la nostra sovranità».
In questo momento storico in quasi tutti i paesi dominano le destre con le loro idee in campo sociale ed economico. Padre, non crede che il Venezuela dia fastidio perché ancora parla di socialismo?
«La nostra causa ha parecchie cose da correggere perché gli ideali di una società socialista sono molto lontani dalla realtà quotidiana e questo perché la maggior parte delle persone non è preparata mentalmente. Questo è un processo “verso il socialismo del XXI secolo”, che però non è ancora una realtà. Pertanto, quando si dice che il socialismo in Venezuela è fallito è un errore perché qui ancora non c’è socialismo. Siamo ancora avvelenati dalla cultura capitalista ed egoista. Stiamo lavorando per realizzare un cambiamento che è lento ma anche progressivo».
In aprile, la rivista Time ha collocato Guaidó tra i 100 leader politici più influenti al mondo. In Italia, alcune riviste (Limes) sostengono (addirittura) la validità della dottrina Monroe per il Venezuela. Padre, che pensa lei di questo giovane di 35 anni, emerso dal nulla?
«In effetti, Guaidó è un personaggio “inedito”. Io non lo conosco personalmente, ma so che era un candidato a governatore dello stato di Vargas perdendo con ampio margine quelle elezioni in favore dell’attuale governatore, Jorge García Carneiro, politico che ha fatto miracoli in uno stato che era in rovina con anni di lavoro e dedizione continua. Direi il migliore dei governatori di Chávez in tutto il Venezuela. Guaidó rimase come “deputato all’Assemblea nazionale” per il suo partito, Voluntad Popular. Successivamente è stato nominato presidente della stessa. Lui si è “autoproclamato presidente ad interim” del Venezuela senza alcuna approvazione del popolo. Senza voti, insomma. Quindi, quello che ha fatto è stato anti-democratico e anti-costituzionale. È vero che ha risvegliato le speranze dell’opposizione di prendere il potere, ma penso che abbia commesso un errore nel metodo usato. Soprattutto quando sostiene l’intervento dell’imperialismo USA, compresa la possibilità che questi ci invadano “militarmente”, il contrario del sentimento popolare nel 90% del paese secondo gli ultimi sondaggi. La gente venezuelana vuole risolvere i problemi seguendo la via della pace e respinge con forza la violenza e la guerra».
Padre Pablo, la grave crisi economica del paese è sotto gli occhi di tutti. Lei ritiene che essa sia stata indotta dall’esterno oppure che dipenda da errori del governo Maduro?
« La crisi economica è stata indotta dall’estero in modo brutale. Non solo tramite l’assurdo embargo decretato dagli Stati Uniti, ma anche con la produzione di iperinflazione. Detto questo, non possiamo tacere i molti errori commessi in materia economica da alcuni ministri (atti di corruzione, in primis) soprattutto con riferimento alla nostra azienda PDVSA.
La politica economica è stata disastrosa e deve cambiare radicalmente. La nostra moneta nazionale è praticamente sul punto di scomparire. Sembra che la proposta del “petro” sia buona ma non funziona ancora a livello di cittadini. Tutto è praticamente “dollarizzato” ma salari e stipendi sono in “bolivar”, che non sono né forti né sovrani. Il salario minimo è di circa 6 dollari al mese.
Sono state nazionalizzate industrie private che producevano in abbondanza e con qualità. Molte di esse sono andate in rovina e in questo momento stiamo cercando di vedere se i loro ex proprietari possono riprenderle e rimetterle in produzione. È stato un errore fatale “attaccare colui che produce”. Credo che il governo in questo campo debba cambiare radicalmente e lasciare i “fanatismi ideologici”. Credo che dobbiamo mantenere tutte le conquiste reali a favore dei più poveri di questa nazione raggiunte con il processo rivoluzionario avviato da Hugo Chávez. Tutto questo è sacro. Deve essere migliorato e reso più efficiente ed efficace, ma per essere in grado di condividere e distribuire equamente in primis è necessario produrre. C’è stata una mancanza di gestione e responsabilità nelle aziende statali. Pertanto, per tornare alla domanda di partenza, direi che entrambe le cause della crisi economica sono vere».
In questi giorni drammatici cosa ha detto la gerarchia della Chiesa cattolica venezuelana?
«Per ora, silenzio totale. La gerarchia non si è pronunciata. Non si chiede – questo sia chiaro – che i vescovi si pronuncino a favore del governo. Però che si pronuncino rispetto a questo tentativo di colpo di stato. Che si esprimano sull’utilizzo della violenza per prendere il potere politico. Si dovrebbero ricordare un principio cristiano: il fine non giustifica i mezzi. Io prego per loro».
Dal golpe dell’aprile 2002 al golpe dell’aprile 2019 la gerarchia cattolica locale pare dunque mostrare una continuità di comportamento. È così?
«Direi che contro Maduro l’atteggiamento è, se possibile, ancora più radicale di quello tenuto contro Chávez. I suoi esponenti sono convinti che la situazione non cambierà e che la sola soluzione è che il presidente se ne vada. Ma la cosa più triste è che alcuni (non tutti) stanno sostenendo la posizione di Guaidó in modo palese e partitario. Dal momento che si è schierata la nostra alta gerarchia, con alcune eccezioni, non è qualificata per essere “arbitro” in questa controversia. È triste vedere vescovi che parlano di dialogo e pace ma poi si mettono dalla parte di chi vuole un intervento militare straniero».
Si sussurra però che il papa e il Vaticano stiano tentando una mediazione.
«La posizione del nostro fratello Francesco è sempre stata degna al contrario di quella della gerarchia locale. A miei superiori io ho detto che è importante denunciare gli errori del governo, esercitando il nostro dono profetico, ma ho ricordato che sarebbe altrettanto giusto riconoscerne i risultati. Nei suoi documenti la gerarchia cattolica venezuelana non ha mai riconosciuto nessuna delle conquiste della rivoluzione a favore dei più poveri. Questa non è imparzialità».
«Credo che dobbiamo cambiare e migliorare ma non distruggere ciò che è stato raggiunto. Mi viene chiesto: perché questo comportamento? Alcuni prelati sono “risentiti” con il governo perché – a loro dire – non sono stati trattati con “dignità” e i loro privilegi sono stati cancellati. Da qualcuno ho sentito rifiuto e persino rabbia (se non odio) quando chiamavo Hugo Chávez fratello mio, come oggi faccio con Maduro. Ma non sono forse fratelli anche se pensiamo diversamente da loro e anche se potrebbero sbagliarsi?».
Per concludere, padre Pablo, qual è la soluzione per uscire da questa condizione di incertezza assoluta e di (quasi) guerra civile?
«La soluzione per evitare la guerra civile è cercare la comprensione, il dialogo e infine l’accordo. Ma non con tutti. Soltanto con quelli – dell’opposizione e del governo – che amano questo paese e che dimostrano buona volontà anche se la pensano diversamente».
Paolo Moiola
(*) Attualmente riparato in Colombia. Il 16 dicembre 2020 ha visto, durante un incontro molto pubblicizzato dai media, l’ex presidente Álvaro Uribe, leader della destra (dura) colombiana. In Italia, López è conosciuto (anche) per merito della moglie Lilian Tintori, di padre italiano.
Pubblicazione / data: «il MANIFESTO», 3 maggio 2020.