di Paolo Moiola
In poco più di un anno – da giugno 2019 ad agosto 2020 – incendi di enormi proporzioni hanno interessato varie aree del mondo. Dall’Australia alla Siberia passando per l’Amazzonia, la California e l’Alaska. Oltre a provocare impatti diretti sull’ambiente e sulla salute delle popolazioni, incendi di simili entità accentuano gli squilibri climatici dell’intero pianeta, considerato il rilascio di anidride carbonica e altri gas a effetto serra nell’atmosfera.
Ci sono varie cause che determinano questi eventi (inclusi gli atti dolosi e colposi), ma è cosa scientificamente provata che la dimensione e aggressività degli incendi degli ultimi anni dipendono dai mutamenti del clima: temperature più alte della media (particolarmente in Siberia e Alaska), terreni estremamente secchi a causa di siccità prolungate, venti più forti.
Gli incendi sono soltanto uno degli eventi legati all’emergenza climatica, un fenomeno globale scomparso dall’attuale agenda politica, ma non dalla realtà quotidiana. Come dimostra lo scioglimento dei ghiacci dell’Artico o – per rimanere a noi più vicini – dei ghiacciai di questa regione (Marmolada, Ortles, Madrone, Presena, eccetera). O, ancora, come dimostra l’aumento del numero e dell’intensità degli eventi meteorologici cosiddetti «estremi» – uragani, tempeste, bombe d’acqua, grandinate, inondazioni, siccità, ondate di calore, incendi, mareggiate, frane, valanghe -, raccontati in dettaglio anche dagli ultimi rapporti dell’Organizzazione meteorologica mondiale (World Meteorological Organization, Wmo) delle Nazioni Unite.
Purtroppo, tra le tante conseguenze della pandemia da nuovo coronavirus (Sars-CoV-2) c’è l’aver messo in secondo piano l’emergenza climatica e ambientale. Un recente articolo («The focus on coronavirus is essential, but we can’t forget the climate», 13 maggio 2020) su New Scientist osservava: «La pandemia di coronavirus potrebbe sembrare la più grande crisi che la maggior parte di noi abbia mai affrontato, ma ogni persona hai già convissuto con una più grande: il cambiamento climatico».
Il settimanale pone in relazione le due crisi: «C’è stata molta eccitazione per il calo dei livelli di inquinamento atmosferico in molti paesi a causa dei blocchi per contrastare il virus. Si parla già di utilizzare la pandemia come un’opportunità […]. Potrebbe essere l’inizio di una rivoluzione verde?».
Secondo Nature, rivista scientifica tra le più rinomate, gli effetti positivi (riduzione delle emissioni di gas serra) del lockdown sul riscaldamento globale sono stati trascurabili perché temporanei. Per gli autori dello studio («Current and future global climate impacts resulting from Covid-19», 7 agosto 2020), soltanto una ripresa economica fondata su stimoli verdi potrebbe rimettere il mondo sulla strada prevista dagli accordi di Parigi (contenere l’incremento delle temperature sotto la soglia di 1,5 gradi).
Questa speranza sarà però messa a dura prova dalla politica, più propensa a scelte rispondenti a finalità di corto respiro (consenso immediato ed elettoralmente appagante) che a obiettivi lungimiranti e di largo respiro. Per i disastri naturali abbiamo parlato di una causa comune riconducibile al cambiamento climatico di origine antropica. C’è però anche un filo «politico» che unisce gli eventi citati: si sono verificati in paesi guidati da politici sovranisti che negano (o sottostimano) i mutamenti climatici e non riconoscono le attività umane come causa primaria della distruzione ambientale.
Donald Trump negli Stati Uniti, Scott Morrison in Australia, Jair Bolsonaro in Brasile, Vladimir Putin in Russia (e i loro ammiratori e seguaci in Italia) sono sovranisti e negazionisti. Sia che si tratti di clima che di nuovo coronavirus la risposta di costoro è univoca, come ha sintetizzato Naomi Oreskes, professoressa di storia della scienza all’Università di Harvard: «Prima si nega il problema, poi si nega la sua gravità e poi si dice che è troppo difficile o costoso da risolvere e/o che la soluzione proposta minaccia la nostra libertà». («The Analogy Between Covid-19 and Climate Change Is Eerily Precise», Wired, 25 marzo 2020).
Secondo il dizionario Treccani, il sovranismo è una «posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovrannazionali di concertazione».
Sulla (eventuale) giustezza del sovranismo si potrebbe discutere, ma non quando si tratta di ambiente e di clima perché non può esistere un «sovranismo ambientale» o un «patriottismo verde». Se i comportamenti individuali (dalla mobilità al cibo) sono fondamentali, il successo delle politiche sul clima dipende dalla cooperazione internazionale e dalla responsabilità globale, obiettivi esclusi dai progetti dei partiti sovranisti, come spiegano Stella Schaller e Alexander Carius in uno studio che analizza la situazione in Europa («Convenient Truths», Berlino 2019).
Gli incendi in Amazzonia e in Siberia, le possibili trivellazioni petrolifere in Alaska, lo scioglimento dei ghiacciai (vicini e lontani) sono eventi con effetti globali che – in quanto tali – dovrebbero preoccupare chiunque, indipendentemente dalla geografia e dall’appartenza politica, culturale o religiosa. E dall’età. Se è vero che esiste una fetta di giovani e giovanissimi sensibile a queste tematiche, è altrettanto vero che non c’è più tempo. Le contromosse – ancorché non risolutive – andrebbero messe in essere da subito.
Purtroppo, la miopia e l’ignoranza di una certa classe politica (maggioritaria in molti paesi, tra cui probabilmente in Italia) influenzano negativamente la percezione pubblica, nonostante la realtà sia sotto gli occhi di chi vuole vedere e la possibilità d’informarsi in maniera veritiera (cioè non stravolta dalle fake news) sia alla portata di tutti.
Paolo Moiola
Pubblicazione / Data:
«l’Adige» /4 settembre 2020), «Alto Adige» (5 settembre 2020) e «Além-mar» (web).