di Paolo Moiola
Da 800 a 830 pesos (equivalenti a un euro). Questo incremento del prezzo del biglietto della metro di Santiago si è trasformato nella scintilla che ha fatto scoppiare l’incendio. Iniziata a ottobre, la protesta ha prodotto morti, feriti e distruzioni. E aperto i riflettori sul Cile, fino a quel momento considerato il paese più stabile dell’America Latina. Con qualche ragione: alternanza al governo, crescita economica, riduzione della povertà, basso debito pubblico.
Le basi socio-economiche del Cile attuale – vedremo se giuste o sbagliate – sono state gettate durante gli anni della dittatura del generale Augusto Pinochet (1973-1990).
In primis, ci fu la scelta ideologica: individualismo, libero mercato e ruolo secondario (sussidiario) dello Stato secondo quanto prescritto dalla Scuola di Chicago del professor Milton Friedman, economista e premio Nobel, uno dei fondatori del neoliberismo. Quindi, si passò all’azione. Nel corso degli anni, la giunta militare al potere privatizzò centinaia di imprese pubbliche operanti nei campi più svariati: elettricità, telecomunicazioni, miniere e foreste, chimica, informatica, cemento, pesca, trasporto aereo e – quasi un unicum mondiale – acqua. Nel frattempo, nel 1980, Pinochet formalizzò il modello in una nuova Costituzione. Da notare che essa non prevede il diritto alla salute, ma il diritto a scegliere tra un sistema sanitario pubblico e uno privato (Capitolo III, articolo 19, comma 9).
Con il ritorno alla democrazia (nel 1990), poco o nulla è stato cambiato, anche con governi di diverso colore politico. Nel 2018, il conservatore Sebastián Piñera – uno degli uomini più ricchi del paese (già azionista di maggioranza della compagnia aerea Lan Chile e del canale televisivo Chilevisión) – è stato eletto presidente (per la seconda volta), succedendo alla socialista Michelle Bachelet.
Crescita e stabilità del Cile hanno fatto parlare di miracolo economico. Tuttavia, se di miracolo si è trattato, sicuramente è stato un miracolo strabico visto il numero di cittadini cileni che ne sono rimasti esclusi. Vediamo qualche cifra (ufficiale) per evidenziare le storture del modello.
Secondo la Commissione economica per l’America latina e i Caraibi (Cepal), in Cile la ricchezza è altamente concentrata: il 10% più ricco detiene due terzi (66,5%) della ricchezza del paese. Con stipendi tra i 400 e i 600 euro al mese, troppi cittadini cileni faticano a coprire le necessità minime.
Inoltre, stando a vari organismi dell’Onu, le mancanze in fatto di diritti economici e sociali sono evidenti. Per esempio, le gravi carenze in tema di istruzione pubblica sono state le cause scatenanti delle proteste studentesche del 2006 (replicate nel 2008, 2011 e nel 2013) e conosciute come la «rivoluzione dei pinguini» (per via dell’uniforme scolastica indossata dai manifestanti).
In Cile, l’istruzione, la salute e il sistema pensionistico sono i campi in cui si evidenziano maggiormente le inefficienze del cosiddetto «Stato sussidiario» (ovvero dello Stato che interviene in maniera minimale o soltanto quando il privato non è presente).
Insomma, nel Cile del decantato miracolo economico i motivi per scendere in piazza non mancavano. L’incremento delle tariffe della metro – devastata durante le proteste e tuttora con linee e stazioni chiuse – ha fatto saltare il tappo. Il governo ha risposto decretando lo stato d’emergenza e il coprifuoco a Santiago, Valparaíso e Concepción. Nel confronto con i manifestanti, la polizia cilena (i carabineros) ha però fatto uso della forza in maniera scriteriata, abusando del proprio potere. Gli eccessi – brutalità, torture, violenze sessuali, uso improprio delle armi – sono stati denunciati anche dalla delegazione inviata nel paese dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Acnudh).
Arrivato a un indice di approvazione bassissimo (10% a novembre 2019, secondo Plaza Pública Cadem), il presidente Piñera prima ha chiesto scusa ai cittadini cileni e poi ha promesso una «Nuova agenda sociale» su una serie di temi (tariffe, salario minimo, pensioni, salute, giustizia, piccole imprese). E’ ancora presto per dire se si tratta di una vera svolta o di un mero maquillage. Più rilevante è stata la decisione, ufficializzata a fine dicembre, di indire una consultazione popolare per il prossimo 26 aprile [posticipata al 25 ottobre 2020], quando il paese andrà (finalmente) a votare per un referendum sulla Costituzione: riformare quella vigente ereditata da Pinochet o eleggere un’Assemblea costituente che ne scriva una nuova?
I nostalgici – palesi od occulti – del dittatore non mancano, ma i cileni contrari paiono essere in buona maggioranza. A dispetto delle speranze de El Mercurio, il più importante (e chiacchierato, proprio a causa del suo appoggio a Pinochet) quotidiano cileno. Per capirci, lo scorso 11 settembre, anniversario del golpe contro il presidente socialista Salvador Allende, il giornale di Santiago aveva pubblicato un inserto a tutta pagina dal titolo: «L’11 settembre 1973 il Cile si salvò dal diventare come il Venezuela di oggi».
Interpellata sulle rivolte di questi mesi, Isabel Allende, scrittrice cilena di fama globale, ha affermato: «Si dice che il Cile sia il paradiso, ma le cifre non mostrano la distribuzione della ricchezza e delle opportunità. La diseguaglianza è tra le più alte del mondo. Il capitale ha avuto tutta la libertà possibile senza avere un contrappeso» (Cnn Chile). Sulla stessa linea anche Luis Sepúlveda [morto il 16 aprile 2020 a causa del Covid], altro noto scrittore cileno: su Le Monde Diplomatique ha scritto che nessuna altra nazione dell’America Latina si è allineata così fedelmente sul «benessere di una minoranza, a dispetto del resto della popolazione».
Paolo Moiola
Pubblicazione / date: «l’ADIGE», 13 gennaio 2020; revista «Além-mar», Fevereiro 2020.