Si chiamava «Compagnia olandese delle Indie orientali» (Voc). Era una società commerciale privata, ma agiva come uno stato. La flotta della Voc operò per quasi due secoli – dal 1602 al 1799 – solcando i mari dall’Indonesia al Suriname passando per il Sudafrica. Con essa l’Olanda – nome ufficiale Nederland (Paesi Bassi) – prima ebbe il sopravvento su Spagna e Portogallo e poi, a sua volta, venne superata da Inghilterra e Francia. Da sempre patria di mercanti e banchieri con l’obiettivo dichiarato del profitto (magnificato anche dalla fede calvinista, come tempo fa ricordammo su queste stesse pagine), il paese non ha mai perso il suo Dna commerciale e capitalista.
Un’indole uscita in maniera prepotente (e un po’ arrogante) anche durante le estenuanti trattative sul Recovery Fund in seno all’Unione europea. Il quotidiano The Telegraph, con pregevole humor inglese, ha descritto gli olandesi come i «nuovi Britannici» (new Brits) e i «principali piantagrane» (top troublemakers).
Alla fine, Mark Rutte, l’intransigente premier olandese (il «signor No»), ha sorriso più degli altri, avendo portato a casa sconti consistenti («rebates») sui propri contributi alla Ue. Tutto lecito, sia chiaro. Tuttavia, parafrasando una nota affermazione di Shakespeare nel suo Amleto, anche in Olanda «c’è del marcio». Proviamo a scoperchiarlo, iniziando da quello ampiamente conosciuto eppure incredibilmente tollerato.
Un semplice dato per capire meglio. Secondo Tax Justice Network («Time for the EU to close its own tax havens», aprile 2020), nel 2019 la sola Olanda ha sottratto al nostro paese 1,5 miliardi di euro. L’organizzazione inglese parla chiaro: non usa il termine eufemistico di «competizione fiscale», ma quello ben più realistico di «paradisi fiscali». Dobbiamo capire la loro «natura antisociale», «è tempo – afferma – di dire “mai più”: mai più abusi fiscali, mai più trasferimenti di profitti, mai più sfruttamento degli stati membri da parte dell’Olanda e di altri». Su questo sarebbe molto interessante conoscere l’opinione di Geert Wilders, leader del partito sovranista olandese, Pvv (Partito per la libertà), amico e alleato della Lega di Matteo Salvini. Wilders è il politico che lo scorso 11 luglio accolse il premier Conte issando un cartello tanto chiaro quanto umiliante: «Non un centesimo all’Italia».
Se poi non vogliamo credere alle analisi di Tax Justice (organizzazione di sinistra e nemica del sistema, potrebbe obiettare qualcuno), allora prendiamo una ricerca accademica (Università di Copenaghen e di Berkley), «The Missing Profits of Nations» (agosto 2018). Nello studio si legge tra l’altro: «Per ogni dollaro pagato in tasse a un paradiso, quasi 5 dollari (di tasse, ndr) sono evitati nei paesi ad alta tassazione. Pertanto, più che redistribuire entrate fiscali tra i paesi, il trasferimento dei profitti redistribuisce guadagni a vantaggio degli azionisti delle multinazionali».
Detto per inciso, se Olanda (con il Lussemburgo e l’Irlanda) sfruttano al meglio le opportunità concesse dai mercati e dalla legge, ci si aspetterebbe un comportamento diverso almeno dalle imprese italiane. In tempi di Covid-19, alcune di quelle che hanno sede in Olanda (o in Lussemburgo) fanno campagne pubblicitarie suggerendo di comprare italiano. Coerenza ed etica vorrebbero che rimanessero italiani anche i loro profitti, a maggior ragione se lo stato investe soldi dei cittadini per sostenerle. Non c’è verso. Anzi, qualcuno afferma – addirittura – che verrebbe meno l’inviolabile principio della libertà d’impresa.
Una libertà ben sfruttata nel settore agricolo. La piccola Olanda, con poca terra ma molte serre, è infatti un grande esportatore agricolo: carne, prodotti caseari, vegetali, sementi, ma anche macchinari e tecnologie. Merito di un’agricoltura all’avanguardia nella tecnologia e nella ricerca (National Geographic, settembre 2017). Tra le voci più importanti ci sono anche i fiori, di cui l’Olanda è il primo esportatore mondiale. Tuttavia, se i famosi tulipani olandesi vengono effettivamente coltivati in patria, la maggior parte delle rose non è propriamente del luogo. Esse provengono infatti da tre paesi africani: il Kenya, l’Etiopia e l’Uganda.
Qui si producono le rose pagando i lavoratori con salari da fame e inquinando le acque dei laghi – il Naivasha in Kenya, il Ziway in Etiopia, il Vittoria in Uganda – con fertilizzanti e pesticidi. I fiori afro-olandesi hanno, pertanto, costi umani e ambientali insostenibili, come da anni denunciano le inchieste (e il libro «Rose e lavoro») del mensile Altreconomia.
Continuando il nostro breve viaggio nel «marcio» olandese, passiamo dai fiori alle «pasticche» (Xtc, Ghb e soprattutto Mdma, l’ecstasy, oltre alle cosiddette «nuove sostanza psicoattive»). «Apparentemente piccolo e innocente paese, l’Olanda è attualmente il più grande attore sul palcoscenico mondiale delle droghe sintetiche». È con queste parole esplicite che inizia una ricerca olandese («A small country punching above its weight. The Netherlands and synthetic drugs in the last fifty years», L’Aia 2018).
La produzione e il commercio di droghe sintetiche è un business altamente lucrativo per l’Olanda: almeno 18,9 miliardi di euro nel 2017, ma la stima è sicuramente per difetto. Dalla parte opposta, ci sono gli enormi costi sociali ed economici per i paesi consumatori, con l’Italia in prima fila. La relazione 2020 della «Direzione centrale per i servizi antidroga» (Dcsa) descrive bene la situazione. L’incremento dei sequestri (+ 95,6 % per le dosi-compresse, + 32,1 % per la polvere) «conferma la crescente diffusione di questo tipo di psicotropi soprattutto tra i giovani. […] Anche nel 2019 il mercato olandese ha rappresentato il punto di approvvigionamento delle piazze nazionali».
Sul fatto che le organizzazioni criminali nostrane abbiano contribuito ad alimentare all’estero la pessima fama del nostro paese non c’è dubbio, ma se i locali e le piazze d’Italia sono invasi da «pasticche» di ogni sorta dobbiamo ringraziare l’Olanda. Sul dubbio gusto dei pomodori olandesi si può anche soprassedere, ma sul fatto che quel paese sottragga (rubi?) all’Italia – e a molti altri – miliardi di euro di tasse non c’è ragione che tenga. Insomma, non ci sono dubbi: anche in Olanda «c’è del marcio». Appurato questo, soltanto l’Unione europea può essere in grado di tenere sotto lo stesso ombrello paesi tanto diversi. Forse in nome dell’ideale europeo. Probabilmente per mero interesse.
Paolo Moiola