L’ultima parte del pezzo fa un (breve) excursus sull’Italia delle armi. Con qualche sorpresa. Anche locale…
Le notizie sono due. La prima è dello scorso 15 luglio. Racconta che la National Rifle Association (Nra) – l’associazione nazionale dei detentori di armi – ha ufficializzato il proprio appoggio elettorale a Donald Trump. Nulla di nuovo sotto il sole: la lobby delle armi – 5 milioni di iscritti, secondo quanto da essa dichiarato – è sempre stata schierata con il partito repubblicano.
La seconda notizia è del 6 agosto e viene da Clyde, Ohio (elettoralmente importante perché catalogato come «swing state», stato ballerino). La notizia riguarda alcune dichiarazioni di Trump, al solito ricche di boria e vuote di sostanza, ma sempre accattivanti per un certo pubblico. Questa volta il presidente Usa è riuscito a mettere in un’unica frase due suoi cavalli di battaglia: Dio e le armi. Secondo Trump, il suo avversario democratico, il cattolico Joe Biden, «ferisce» (testuale) Dio e la Bibbia. Egli sarebbe – ha precisato il presidente – contro Dio («He’s against God») e contro le pistole («He’s against guns»). L’abbinamento Dio ed armi è un bel programma, pur non essendo un unicum (fu così già ai tempi della Conquista delle Americhe, poco più di 500 anni fa).
Le armi da fuoco in mano a privati cittadini sono un connotato Usa. Diamo un primo dato per capire la portata del fenomeno: negli Stati Uniti ci sono 400 milioni di armi per 330 milioni di abitanti. Nei primi sei mesi del 2020, ne sono state vendute – quotidianamente – tra le 80 mila e 100 mila. Lo ripetiamo: ogni giorno, per un totale di 19 milioni di armi. L’emergenza generata dal virus ha fatto esplodere le vendite. E prodotto fatti surreali. Ad esempio, in piena pandemia, molti stati Usa sono stati citati in giudizio per aver imposto la chiusura dei negozi di armi, avendo osato giudicare «non essenziale» quell’attività commerciale. O, ancora, va ricordato quanto accaduto in aprile e maggio quando – in Michigan e in Texas – singoli cittadini o gruppi hanno «protestato» contro il lockdown armati come guerriglieri (o terroristi?) ancorché legali.
Il boom delle vendite è stato – ovviamente – magnificato dalla Nra. «Questo – ha commentato l’organizzazione – è un duro confronto con la realtà per attivisti e politici anti-armi. Abbiamo visto mese dopo mese numeri record […] che dimostrano che milioni di americani scelgono di esercitare i propri diritti costituzionali. […] Gli attivisti anti-armi stanno già cercando di inquadrare negativamente l’aumento delle vendite […]».
Visitare il sito web della National Rifle Association è un viaggio in un mondo dove le armi sono indispensabili come il cibo. Vi si leggono parole come queste: «Niente è più importante della protezione di noi stessi e delle nostre famiglie, specialmente durante questi periodi di incertezza. Tuttavia, alcuni legislatori contro le armi stanno sfruttando la pandemia di Covid-19 per negare a te e ai tuoi cari il diritto fondamentale all’autodifesa e i tuoi diritti sanciti dal secondo emendamento».
Eccolo il punto apparentemente insuperabile: il secondo emendamento della Costituzione statunitense («Right to Bear Arms»), approvato nel lontano 1791.
Secondo l’emendamento, «essendo necessaria per la sicurezza di uno Stato libero una miliza ben regolamentata, il diritto del popolo a detenere e portare armi non deve essere violato».
Chi reclama una normativa più severa sulle armi si scontra sempre con il principio da esso sancito. Così, nella causa District of Columbia contro Heller del 2008, la Corte suprema – all’epoca dominata da Antonin Scalia, il giudice ultraconservatore figlio di immigrati italiani – ha sentenziato che le limitazioni sulle armi da fuoco imposte dal Distretto della Colombia (Washington) violavano il secondo emendamento, perché esso «protegge il diritto individuale di possedere un’arma da fuoco indipendentemente dal servizio in una milizia».
Le lunga fila di clienti davanti ai rivenditori di armi sono state pubblicate dai media di tutto il mondo. Per i cittadini statunitensi andare in negozio non è però il solo modo per acquistare l’oggetto del desiderio. Abbiamo dato un’occhiata ad alcuni siti Usa che vendono armi online. Come l’Ar-15, un’arma a canna lunga semi-automatica (45-60 pallottole al minuto), molto ricercata dagli amanti del secondo emendamento. Dai più è considerata un’arma d’assalto e, infatti, è quella normalmente usata per compiere le stragi (Orlando, Aurora, Newtown, tanto per citarne alcune). Ebbene, sul sito impactguns.com l’Ar-15 è offerto a prezzi che vanno da meno di 400 dollari a circa 1.800, molte volte con consegna gratuita (free shipping). Un altro sito (usa-gun-shop.com) offre 21 Ar-15 a meno di mille dollari, specificando che «il coronavirus ha spazzato via le scorte e non possiamo garantire che [tu acquirente] otterrai esattamente ciò che desideri in questi tempi torridi».
Con tutte queste armi in mano a privati cittadini i problemi di sicurezza invece di diminuire si sono moltiplicati. Secondo i dati dell’organizzazione statunitense Gun Violence Archive, nel 2019 ci sono stati 15.292 morti per armi da fuoco e 29.613 feriti. Da queste cifre sono esclusi i suicidi. Le sparatorie di massa (mass-shootings, così definite quando ci sono almeno 4 persone coinvolte) sono state 417. Dal 1970 a oggi, ci sono state 1.316 sparatorie in istituti scolastici (school shootings). Ogni anno circa 3.000 bambini e adolescenti muoiono a causa di ferite da arma da fuoco, rappresentando la seconda causa di morte dopo gli incidenti d’auto (New England Journal of Medicine, 2018).
Davanti a numeri come questi si sono attivati non i politici, ma le mamme riunite in «Moms demand action», che chiedono di agire contro la proliferazione delle armi da fuoco. L’organizzazione delle mamme è apartitica, l’esatto contrario della Nra, che infatti il 10 agosto ha scritto: «Oltre a garantire la sicurezza dei tuoi cari, la cosa più importante che puoi fare è essere coinvolto. Fai volontariato con l’Nra nel tuo quartiere. Offriti volontario per aiutare i candidati a favore delle armi. Vota. Assicurati che anche i tuoi amici e la tua famiglia votino».
Molte lezioni si possono trarre – volendo – dalle situazioni qui brevemente descritte. La prima potrebbe essere questa: al di là della drammatica situazione prodotta da una pandemia colpevolmente sottostimata (circa 170 mila morti), il vincolo simbiotico di Donald Trump con la lobby delle armi è di per se stesso un demerito imperdonabile.
Sul tema, merita due parole anche il nostro paese. In Italia, si contano 8,6 milioni di armi (Small Arms Survey, 2018) e 0,57 omicidi ogni 100 mila abitanti (Istat, 2018), un tasso sotto la media europea che è pari a 1 rispetto al 4,96 degli Stati Uniti (Fbi, 2018). Dal 14 settembre 2018 è in vigore il decreto legislativo n. 104, varato dall’allora governo Lega-5 Stelle, in base al quale è più facile acquistare e detenere un’arma in casa. Eppure, rimangono in campo varie proposte di legge per modificare in senso (ancora) meno restrittivo la legge sulle armi. Una di queste (Camera dei deputati, n. 1261) è stata firmata da Vanessa Cattoi, nata a Rovereto, attualmente deputata della Lega, consigliera comunale e candidata sindaca ad Ala. È stata presentata l’11 ottobre 2018 e così recita nel suo preambolo: «L’obiettivo della presente proposta di legge è quello di rendere più agevole l’iter per acquistare un’arma destinata alla difesa personale […]».
Dopo aver tentato di copiare il fallimentare sistema sanitario statunitense («viva il privato, abbasso il pubblico»), qualche politico italiano pensa di copiare anche quello relativo alla sicurezza dei cittadini. Peccato che l’equazione «più armi ai cittadini eguale più sicurezza» sia una presunzione smentita dai fatti.
Paolo Moiola
Pubblicazione / data: «l’Adige» (20 agosto 2020) e «Alto Adige» (22 agosto 2020).