di Paolo Moiola
Boa Vista, 19 settembre 2019. L’indirizzo è Av. Benjamin Constant 968, nel centro di BoaVista, capitale dello stato di Roraima. È una modesta casa su un solo piano, resa facilmente riconoscibile dal suo vivace color arancione e naturalmente dalla grande bandiera venezuelana che sventola sul pennone posto nel giardinetto antistante l’entrata.
Non ci siamo mai incontrati ma il console mi accoglie come un amico perché da tempo ci scambiamo email: dato che Juan Guaidò e l’opposizione venezuelana monopolizzano i media internazionali, ogni tanto è giusto dare voce anche ai cattivi (o presunti tali). Lui si chiama Faustino Torella Ambrosini e prima di diventare diplomatico insegnava storia all’Università Centrale del Venezuela, il principale ateneo pubblico del paese. È console generale del Venezuela a Boa Vista dal dicembre 2018, dopo un’esperienza analoga di cinque anni a Manaus. Boa Vista non è una metropoli come quest’ultima ma è importante perché dista soltanto 215 chilometri da Pacaraima, porta d’ingresso in Brasile per molti venezuelani.
Il nostro incontro avviene dopo due eventi che hanno ulteriormente aggravato – in modi diversi – la situazione del paese: il durissimo rapporto dell’alta commissaria per i diritti umani delle Nazioni Unite Michelle Bachelet (uscito a inizio luglio) e l’ulteriore stretta dell’embargo economico e finanziario di Trump nei confronti del Venezuela (5 agosto).
Andare oltre la carta igienica
Console, in questo momento com’è la situazione nel suo paese?
«Difficile. È la situazione che vivono i paesi e i popoli che soffrono a causa di un embargo illegale imposto da uno stato che si considera al di sopra di tutti gli altri. Il Venezuela è un paese la cui economia si fonda sul petrolio e con le divise che ottiene dalla sua vendita compra alimenti e medicinali, come anche materie prime e prodotti industriali di uso comune. Non avendo libero accesso al mercato estero e ai nostri conti bancari in valuta per il cittadino venezuelano la quotidianità si è fatta molto complicata».
Dunque, è questa la guerra economica di cui voi parlate?
«Proprio così. Non potendo contare su un normale rifornimento di alimenti e medicinali, le condizioni per averli si fanno quasi impossibili: i costi dei prodotti che arrivano in Venezuela per altre vie e da altri paesi sono in valuta e la differenza con il Bolívar soberano (la moneta nazionale, ndr) è tanta. Quindi, in realtà, tu puoi anche vedere il prodotto che cerchi ma non hai il denaro per comprarlo».
Sui media internazionali e italiani si è parlato molto della carenza di carta igienica. Forse anche per ridicolizzare il governo Maduro?
«La guerra economia consiste nel generare carenza di prodotti: un mese l’uno, un mese l’altro, il mese successivo un altro ancora. Quando un prodotto riappare sugli scaffali il prezzo è aumentato a sproposito. È così con i medicinali, i prodotti per l’igiene, quelli per la pulizia. Quindi, vale anche per la carta igienica, i pannolini e molto altro».
Cosa state facendo per contrastare la situazione?
«Il governo ha preso varie misure. Una di esse è l’aumento del salario minimo (operazione già effettuata 18 volte in due anni, ndr). Anche se il denaro non basta mai perché a ogni aumento aumentano anche i prezzi. E c’è soprattutto la distribuzione delle ceste CLAP (Comité Local de Abastecimiento y Producción). Queste contengono vari prodotti alimentari (come pasta, riso, farina, zucchero, latte in polvere, carne in scatola, ecc., ndr) al prezzo politico di 23.000 bolivares che è un costo estremamente basso rispetto a quanto si spenderebbe sul libero mercato».
Console, gli oppositori dicono che la cesta alimentare dei Clap arrivi soltanto ai sostenitori del governo.
«È falso. Le scatole dei Clap vengono distribuite per zone geografiche e tutti possono accedervi. Gli stessi oppositori sostengono che grazie a questo sistema la situazione non è peggiore. Va ricordato che gli alimenti arrivano a oltre 6 milioni di famiglie per un totale di 24 milioni di persone. Numeri molto importanti che hanno indotto gli Stati Uniti ad agire per bloccare le navi che portavano prodotti provenienti dall’estero».
Dunque, è vero che le ceste contengono molti prodotti importati…
«Per questo il presidente Maduro sta spingendo per dare finalmente al Venezuela una propria sovranità alimentare».
A parte il sistema Clap, esistono vari altri sussidi elargiti nell’ambito delle cosiddette missioni (i programmi governativi istituiti da Hugo Chávez, ndr). Anche qui si obietta che essi comportino degli obblighi non scritti. Per esempio, andare alle marce pro-Maduro.
«Falso. È dimostrato che i sussidi arrivano a venezuelani che hanno opinioni politiche diverse. Chiunque si avvicini a una missione trova accoglienza, anche gli imprenditori. D’altra parte, è vero che la maggior parte delle missioni è rivolta a chi si trova in difficoltà particolari. Per esempio, la Misión Negra Hipolita aiuta le persone che vivono in strada; la Misión Madres del Barrio, le adolescenti che sono madri».
Donald Trump, Michelle Bachelet e l’oro di Maduro
Console, la relazione sui diritti umani della commissaria Bachelet è fortemente critica verso il suo paese.
«Una relazione senza prove non è una relazione. Qui ci sono soltanto testimonianze di una delle parti in gioco. La domanda è: la signora Bachelet ha cercato la verità o soltanto altri elementi per fare pressione sul governo venezuelano? E come giudica la ex presidenta cilena il blocco economico attuato da Trump ai danni del Venezuela?».
A livello finanziario che conseguenze comporta il blocco?
«Significa che i nostri conti bancari sono tutti congelati. Significa che non possiamo usare il nostro denaro depositato non soltanto nelle banche Usa, ma anche in quelle internazionali. Significa che nessuno può fare transazioni economiche con noi. È un vile ruberia come ai tempi della conquista e colonizzazione dell’America.
Quello che si sta sperimentando sulle spalle del popolo venezuelano è un atto crudele e criminale: un vero e proprio genocidio. Detto questo, noi abbiamo il dovere storico di non arrenderci. Vorremmo riuscire a dimostrare che un paese può sopravvivere anche senza gli Stati Uniti. Dobbiamo inventare un modello di relazioni finanziarie che non includa quel paese e, soprattutto, realizzare un’alleanza per dare una risposta internazionale».
Sui media internazionali la questione finanziaria è stata ridotta al presidente Maduro che vende l’oro del paese…
«Non faccio fatica ad immaginarlo. Il Venezuela non è un paese che normalmente vende il proprio oro, ma la situazione congiunturale è quantomeno particolare. Detto questo, l’oro come il petrolio, il ferro, la bauxite, i diamanti e tutte le risorse di cui abbiamo la fortuna di disporre non sono pezzi da collezione. Che senso ha avere materie prime se la popolazione non ha cibo a sufficienza e libero accesso all’educazione e alla salute. In un momento storico in cui il paese è attaccato e prigioniero dell’embargo il governo ha il dovere di garantire o almeno di tentare di garantire alla propria popolazione le condizioni minime per l’esistenza».
Fughe bibliche e numeri in libertà
Il pubblico internazionale vede immagini di confini presi d’assalto. Si parla di esodi biblici: milioni di cittadini venezuelani che lasciano il loro paese. Difficile non parlare di fuga di massa, non le pare, Console?
«Non possiamo negare che è la prima volta nella sua storia che il Venezuela assiste a una emigrazione di questa entità, ma i dati non sono quelli che si leggono. Un esempio preso da vicino. Ogni giorno, dalla frontiera di Pacaraima, entrano in Brasile 350 – 550 persone. La Acnur li cataloga come migranti, anche se molti di essi attraversano il confine soltanto per comprare alimenti e medicinali per loro stessi o per rivendere. Fatto questo rientrano nel paese».
Posso capire l’opposizione, ma perché le organizzazioni delle Nazioni Unite, la Caritas e le Ong dovrebbero gonfiare i numeri?
«Per una banale legge economica. Più alto è l’allarme più soldi puoi chiedere e spesso ottenere».
Per i venezuelani che sono usciti dal paese il suo governo ha varato un programma di cui all’estero non si parla mai.
«Si chiama vuelta a la patria e per iscriversi i venezuelani espatriati vengono anche in questo Consolato. Un esempio: a fine luglio si è realizzato il quarto evento di questo ritorno a casa. Abbiamo rimpatriato 145 connazionali: 39 minori, 43 donne (tra queste 5 incinte) e 63 uomini».
In tutto questo scenario complesso e confuso come si muovono i media?
«I mezzi d’informazione convenzionali hanno una grave responsabilità per la situazione d’assedio e aggressione che il Venezuela subisce. A ciò si aggiunga che oggi la maggioranza delle persone s’informa sulle reti sociali – twitter, facebook, instagram e whatsapp – dove le fake news la fanno da padrone».
Se questa è la situazione, ci si chiede come facciate a resistere.
«Ci sono varie motivazioni. In primo luogo, il fatto di aver coscientizzato un popolo che si è risvegliato da un lungo letargo. Un popolo che si è reso visibile quando prima non lo era. E poi la continua e sistematica comunicazione su cosa sta accadendo fa sì che i cittadino siano i primi a difendere il modello. In generale, credo che la coscientizzazione e il protagonismo possano indurre una società a lottare per ciò che essa crede sia giusto».
Gli italiani del Venezuela
Console Faustino Torrella Ambrosini, il suo nome palesa un’origine italiana.
«Sì, sono figlio di migranti italiani provenienti da un piccolo paesino vicino ad Avellino. Sono nato e cresciuto in Venezuela, ma con entrambe le culture».
Gli italiani del Venezuela sono schierati in grande maggioranza contro il governo.
«È vero. La storia offre una possibile spiegazione: la maggior parte di loro arrivò dopo la seconda guerra mondiale. Oggi, con un lavoro di decenni, sono a capo di imprese importanti. Anche per questo preferiscono un governo che non imponga tasse ma che al contempo paghi i servizi. Insomma, sono d’accordo con tutto il pacchetto di proposte della destra».
Paolo Moiola
(*) Aggiornamento – Il console Faustino Torella Ambrosini è deceduto il 5 agosto 2020 a causa del Covid-19 dopo 58 giorni di lotta all’interno dell’Unità di terapia intensiva dell’Ospedale di Santa Elena de Uairén, in Venezuela.
Pubblicazione / Data:
«l’ADIGE» (14 ottobre 2019), «ALTO ADIGE» (14 ottobre 2019).